A zia Anna (6 ottobre 1931-18 gennaio 2008)

Tra le prime memorie della mia vita ricordo te che, mentre cucini, provi le tabelline a me, seduta a gambe incrociate sul tavolo della cucina di “casa vecchia.” Mi ricordo ancora quella cucina, in cui passavamo insieme delle ore, io a fare i compiti, tu a cucinare. Era la tua passione la cucina, una passione che avevi eriditato dalla tua mamma, la ormai famosa nonna Nina. Anche se avevi passato tutta la mattina a cucinare qualcosa, se noi sorelline ci lamentavamo dicendo che non ci piaceva, tu ti rimettevi immediatamente ai fornelli e ci facevi qualcosa di nostro gusto. Io che ero tanto schizzinosa col cibo mi rifiutavo di mangiare se non mi imboccavi tu, seduta sulle tue ginocchia. Ci viziavi in questo modo, zia, ci viziavi di amore. L’hai continuato a fare poi con i nostri bambini, che ancora adesso vogliono il pollo d’oro della zia Anna o la sua minestrina rossa e spesso non si accontentano di quello che gli facciamo noi.

Avevi un talento speciale con i bambini. Quanti ne hai aiutato ad allevare? Ricordo alla Domus le parole di Mario, che è stato uno di quei bambini, come noi: “Se li avessi partoriti tutti tu, non avresti potuto averne così tanti intorno” (e scusa Mario che in dialetto non la so ripetere questa frase che le è piaciuta tanto). Tutti rimanevano incantati dalla tua pazienza con loro. Noi mamme a volte sospiravamo che non volevamo giocare all’ennesima partita a Uno, ma tu non ti tiravi mai indietro. Dicevi sempre di sì ai loro giochi e li lasciavi vincere sempre. Anche i nostri bambini hai viziato di amore.

Non ti sei mai sposata e ti sei dedicata tutta intera a tutti quei bambini che non avrebbero potuto essere più tuoi che se li avessi partoriti. Ricordo due vestitini a stampa scozzese che avevi cucito per noi, uno a sfondo rosso per Mariangela, uno a sfondo blu per me. Ci piacevano da impazzire quei vestitini. E tu ne eri immensamente orgogliosa. Come eri orgogliosa di noi. Quanti ne hai cuciti, rammendati, ricuciti di vestitini, calze, mutande? Quanti culetti hai pulito? Quanti pannolini hai stirato (quando ancora i pannolini si lavavano e stiravano)? Quante lacrime hai asciugato? Quante partite hai perso a calcetto?

È difficile adesso sedere qui, lontana migliaia di chilometri davanti a un freddo computer, inadequato surrogato di un volto amato, a scrivere di te, cercando di ritrovare in una memoria sfuggente i ricordi di te. È difficile perchè in fondo non sembra vero che il mondo possa adesso esistere senza di te. E paradossalmente era più facile ritrovare memorie quando ti visitavo in ospedale e mi raccontavi storie del passato. Perchè tu certamente non dimenticavi niente: avevi una memoria di ferro, come si suol dire. In te era racchiusa la memoria di generazioni, la saggezza antica, i nomi, i volti, i gesti di chi ci ha preceduto. Vorrei averti registrato quando raccontavi le storie dei nonni: storie che poi hai raccontato ai nostri bambini e che noi non sapremo mai ripetere fedelmente o con lo stesso fervore.

Ho sempre disdegnato chi, a un funerale, parla solo bene del morto, senza menzionare i suoi difetti. Ho sempre detto che, quando verrà il mio momento, vorrei che le persone che amo rammentassero i miei difetti e poi dicessero che mi hanno amata lo stesso e forse anche di più, per quei difetti. Adesso però capisco che quando si perde una persona amata, sono solo le cose belle che ci vengono in mente. È un grande sforzo ricordarsi dei momenti brutti, delle litigate, dei pensieri cattivi. E poi perchè? Perchè davanti alla morte non pensare invece alle cose belle: il profumo degli arrosti della domenica, i centrini ricamati a uncinetto, i vestitini cuciti a mano?

E allora continuo a ricordarti per l’amore che ci hai dato: immenso e senza condizioni. Perchè alla fine, solo quello conta. Alla fine, solo quello vive in noi e, attraverso quello, te.

Grazie zia. Ti vogliamo bene. Tua figlia, Catia

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